Il coronavirus produrrà effetti devastanti sul lavoro"

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    Il coronavirus produrrà effetti devastanti sul lavoro"

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    L'agenzia per il lavoro delle Nazioni Unite stima una perdita legata all'epidemia pari al 6,7% delle ore lavorate, l'equivalente di 195 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Ma a rischiare in alcuni settori sono 1,25 miliardi di lavoratori

    di PIETRO DEL RE


    Sono previsioni cataclismiche quelle contenute nel rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) sulle conseguenze della pandemia del Covid-19, in cui si parla di "perdite devastanti in termini di ore di lavoro e occupazione" e che Repubblica ha potuto consultare in esclusiva. L'agenzia delle Nazioni Unite con sede a Ginevra aveva già pubblicato un rapporto lo scorso 18 marzo, in cui prevedeva 25 milioni di disoccupati. Ma nell'ultima stima, le informazioni sugli effetti del coronavirus a livello settoriale e per gruppi di regioni sono ben peggiori.

    Si prevede che la crisi ridurrà il numero di ore lavorate nel mondo del 6,7 per cento nel secondo trimestre del 2020, equivalenti a 195 milioni di lavoratori a tempo pieno. Ma secondo la nuova pubblicazione, in alcuni settori sono circa 1,25 miliardi i lavoratori ad alto rischio per l'incremento "drastico e devastante" dei licenziamenti e delle riduzioni dei salari e dell'orario di lavoro. "Le scelte che facciamo oggi influenzeranno direttamente il modo in cui questa crisi si svilupperà e la vita di miliardi di persone", dice il direttore generale dell'Oil, Guy Ryder.

    L'agenzia dell'Onu che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne, prevede inoltre enormi perdite tra i diversi gruppi di Paesi, soprattutto quelli a reddito medio-alto (7,0 per cento o 100 milioni di lavoratori a tempo pieno), superando di gran lunga gli impatti della crisi finanziaria del 2008-2009.


    I settori più a rischio sono quelli degli alloggi, della ristorazione, delle manifatture, della vendita al dettaglio e delle attività commerciali e amministrative. Il possibile incremento della disoccupazione a livello globale nel 2020 dipenderà sostanzialmente dagli sviluppi futuri e dalle misure adottate. Sempre secondo l'Oil, vi è un elevato rischio che i dati che verranno rilevati a fine anno sulla disoccupazione a livello globale risultino significativamente superiori rispetto alla proiezione iniziale che prevedeva un incremento di 25 milioni di disoccupati nel mondo.

    Più di 4 persone su 5 (81 per cento) nella forza lavoro globale - che ammonta a 3,3 miliardi di lavoratori - sono attualmente interessate dalla chiusura totale o parziale delle attività produttive. "I lavoratori e le imprese si trovano di fronte a una catastrofe, sia nei Paesi a economia avanzata che in quelli in via di sviluppo", dice ancora Guy Ryder. "Dobbiamo muoverci velocemente, in modo deciso e congiunto. L'adozione tempestiva di misure efficace potrebbe fare la differenza tra la sopravvivenza e il collasso".

    In quella che l'Oil definisce come "la peggiore crisi globale dopo la Seconda guerra mondiale", sono circa 1,25 miliardi i lavoratori impiegati nei settori identificati come ad alto rischio di incremento "drastico e devastante" dei licenziamenti e delle riduzioni dei salari e dell'orario di lavoro. Molti lavoratori svolgono lavori poco retribuiti e poco qualificati, dove un'improvvisa perdita di reddito può rilevarsi devastante. Ma nell'intero pianeta, sono particolarmente a rischio ben due miliardi di persone che lavorano nel cosiddetto settore informale, principalmente nelle economie emergenti e in via di sviluppo.

    Come emerge dall'analisi, è necessario adottare misure integrate e su larga scala che siano incentrate su quattro pilastri: sostenere le imprese, l'occupazione e il reddito; stimolare l'economia e l'occupazione; proteggere i lavoratori; e instaurare un dialogo sociale tra governi datori di lavoro e lavoratori al fine di trovare soluzioni a questa crisi. "Questo è il più grande test per la cooperazione multilaterale in oltre 75 anni", spiega Ryder. "Se un Paese fallisce, allora falliamo tutti. Dobbiamo trovare soluzioni a livello globale che aiutino tutti i segmenti della nostra società, in particolare quelli che sono maggiormente vulnerabili o meno in grado di aiutare se stessi. Adottando misure efficaci possiamo limitare l'impatto di questa crisi e attenuare le cicatrici che questa lascerà".





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